La serata inizia male: età media inferiore ai 12 anni. E considerando che siamo almeno in 10 ultraventeni la cosa è tragica.
Come tutte le cose iniziate male poi, per fortuna, finiscono bene.
O forse non tutte.
Insomma, a me in questo periodo succede così: le cose iniziano malissimo e finiscono bene.
Il classico lieto fine.
Anche in un concerto metal
Iniziano i Re di Maggio, band valdostana di rock sincero, forse un po' troppo. Sta di fatto che, come al solito, il pubblico non si accende. E anzi, se ne va.
Resta solo lo zoccolo duro: i fan più accaniti e i suonatori.
Sulla sala cala il buio. Buio dentro, buio fuori. Cupi anche i vestiti indossati dal gruppo clou della serata.
Urla di donna. Sicuramente un effetto, perché il piattume tra il pubblico serpeggia. Urla, urla e ancora urla: si comincia così.
Batteria, basso, chitarra, voce nell'ordine entrano in scena.
Solo dopo si vedono i volti di chi sta dietro agli strumenti. Il metal richiede scenografia, e il nero è il colore che meglio si adatta a questa musica cupa e a questa voce graffiante. Maschere nere volano via, cappucci neri scendono dalla testa senza più fare mostra di sé.
C'è vita, c'è partecipazione del pubblico. Applausi. Il cantante invita il pubblico (che è tornato numeroso dopo la pausa) ad avvicinarsi. "Non vi mangio" anche se dai ruggiti che "canta" parrebbe di sì. Il pubblico si fida: ed è una cosa mai vista all'Anita.
Come un calvo con la frangetta. Non si era mai visto.
E così, in questa atmosfera irreale e in questa musica rigata, la serata se ne va in un batter d'occhio. Volano, come erano volate le maschere, la bacchette del batterista. Scappano il chitarrista e il bassista. Resta soltanto, solo al centro del palco, di spalle appallottolato davanti alla gran cassa un omino che urla sui rumori distorti delle corde ancora calde. Poi anche lui se ne va.
E lo spettacolo è finito.
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