venerdì 29 aprile 2005

L'UniVdA un covo unionista?

Spira uno strano vento, in città. E non è l'arrivo fuoristagione dell'anticiclone delle Azzorre. Un debole vento di novità, che però non lambisce minimamente i luoghi più chiusi ed elitari. Ma, tantomeno, non riesce ad intrufolarsi nei luoghi giovani e teoricamente vivaci.
La piccola e giovane Università (libera solo nel nome degli inizi) è un caso allarmante. La rassegnazione è il sentimento più diffuso. E l'indignazione per il cambio politico del Rettore (caso unico in Europa, passato sotto silenzio) è scemata in fretta. Così, tutti a buttarsi nell'agone politico, ovviamente dalla parte del più forte.
"C'è bisogno di ringiovanire il panorama politico" è ciò che i candidati accademici (e sono, nel piccolo dell'università, numerosi sia in città, sia nei paesi) dicono ai colleghi. Peccato che tutti si presentino con partiti o movimenti che sono rimasti alla Valle d'Aosta di 200 anni fa.
La frase più brutta che si possa sentire è "Non è poi tanto male, dopotutto". Cazzarola, solo il PCUS ha fatto peggio. E almeno i praticelli davanti a casa il regime li tagliava. Per come è stata trattata l'università, poi, non ci sono scusanti. E non mi si dica che un partito fa una cosa a livello regionale e un'altra a livello locale perché è la balla del secolo.
Appena è nata, l'Università ha mostrato subito le proprie lacune. Fossati giuridici e politici che la fanno zoppicare ancora oggi. Lo statuto molto rigido e certamente poco lungimirante prevede una serie di ostacoli che finora non hanno garantito il normale svolgimento dell'attività e l'autonomia universitaria, che in tutto il vecchio continente e nel mondo occidentale, è sacrosanta. Il Senato, vero organo di governo dell'Università, può essere costituito soltanto se i corsi raggiungono un notevole numero di docenti di ruolo e non sono previste deroghe per gli inevitabili primi anni di vita.
L'ingerenza politica, poi, è evidente. Il Presidente non è nominato tra figure accademiche rappresentative e di spessore, ma è il Presidente della Giunta regionale, un politico che di università, istruzione e ricerca non ha la minima cognizione. In un normale governo regionale dovrebbe infatti avere abilità di "direttore d'orchestra" per scegliere e far muovere a tempo gli elementi migliori usciti dalle urne. Altro membro di non so più che comitato è il Sindaco della città. Che ormai da anni, e soprattutto da quando è nata l'Università, non è certo una figura di spicco per intelletto e capacità.
L'università è stata creata per evitare lunghe e poco costruttive trasferte agli studenti valdostani. Il rischio è quello di farne un ateneo dorato foderato di bambagia e lapislazzuli, in cui gli studenti trovino la laurea facile e non acquisiscano competenze e spirito critico per alzare un vento di protesta, di legalità e di libertà che tanto è ostile al Palazzo.
Per fare di Aosta un polo universitario servono un sovrappiù di risorse, una città vivibile a misura di giovane, con abitazioni comode, servizi efficienti e trasporti con il resto del mondo veloci e efficaci: tutte cose che, ahimè, la regione e la città non hanno. E la concorrenza è agguerritissima e a livello globale. E soprattutto nessuno verrà ad Aosta per studiare psicologia o scienze dell'educazione perché sono i corsi più sovrabbondanti del panorama italiano. Dunque, finora, le scelte non sono state molto accurate. A parte l'area economica, mirata sul turismo, le piccole imprese e la pubblica amministrazione, secondo ricerche le aree in cui servono maggiormente nuove competenze e capacità, e l'area linguistica, con un'interessante scambio con università transalpine, gli altri, pochi corsi, finiranno per renderci come Pantelleria: un'isoletta in cui tutti sono ragionieri perché come scuola superiore c'è soltanto Ragioneria.
L'interrogativo più inquietante è la voce, che circola nell'area vicina al mondo accademico e scolastico non ancora annebbiata dal pensiero unico "del male minore", secondo cui l'UniVdA sia nata per tenere buoni i valdostani e non fargli vedere il mondo.
Fino a qualche anno fa un esimio sindaco di un paesino turistico andava vantandosi di non essere mai uscito da Pont-Saint-Martin se non per il viaggio di nozze, per il quale si era spinto con la consorte fino alla malfamata città sabauda di Torino. Perchè, si sa, la Valle è il luogo più bello del mondo (e i turisti hanno bisogno di noi, possiamo anche spellarli vivi)...

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